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s-701 Quivi soavemente spuose il carco, soave per lo scoglio sconcio ed erto che sarebbe a le capre duro varco.
s-702 Indi un altro vallon mi fu scoperto.
s-703 Di nova pena mi conven far versi e dar matera al ventesimo canto de la prima canzon, ch'è d'i sommersi.
s-704 Io era già disposto tutto quanto a riguardar ne lo scoperto fondo, che si bagnava d'angoscioso pianto; e vidi gente per lo vallon tondo venir, tacendo e lagrimando, al passo che fanno le letane in questo mondo.
s-705 Come 'l viso mi scese in lor più basso, mirabilmente apparve esser travolto ciascun tra 'l mento e 'l principio del casso, ché da le reni era tornato 'l volto, e in dietro venir li convenia, perché 'l veder dinanzi era lor tolto.
s-706 Forse per forza già di parlasia si travolse così alcun del tutto; ma io nol vidi, credo che sia.
s-707 Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto di tua lezione, or pensa per te stesso com'io potea tener lo viso asciutto, quando la nostra imagine di presso vidi torta, che 'l pianto de li occhi le natiche bagnava per lo fesso.
s-708 Certo io piangea, poggiato a un de' rocchi del duro scoglio, che la mia scorta mi disse: «Ancor se' tu de li altri sciocchi?
s-709 Qui vive la pietà quand'è ben morta; chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passion comporta?
s-710 Drizza la testa, drizza, e vedi a cui s'aperse a li occhi d'i Teban la terra; per ch'ei gridavan tutti: Dove rui, Anfiarao? perché lasci la guerra?.
s-711 E non restò di ruinare a valle fino a Minòs che ciascheduno afferra.
s-712 Mira c'ha fatto petto de le spalle; perché volse veder troppo davante, di retro guarda e fa retroso calle.
s-713 Vedi Tiresia, che mutò sembiante quando di maschio femmina divenne, cangiandosi le membra tutte quante; e prima, poi, ribatter li convenne li duo serpenti avvolti, con la verga, che riavesse le maschili penne.
s-714 Aronta è quel ch'al ventre li s'atterga, che ne' monti di Luni, dove ronca lo Carrarese che di sotto alberga, ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca per sua dimora; onde a guardar le stelle e 'l mar non li era la veduta tronca.
s-715 E quella che ricuopre le mammelle, che tu non vedi, con le trecce sciolte, e ha di ogne pilosa pelle, Manto fu, che cercò per terre molte; poscia si puose dove nacqu' io; onde un poco mi piace che m'ascolte.
s-716 Poscia che 'l padre suo di vita uscìo e venne serva la città di Baco, questa gran tempo per lo mondo gio.
s-717 Suso in Italia bella giace un laco, a piè de l'Alpe che serra Lamagna sovra Tiralli, c'ha nome Benaco.
s-718 Per mille fonti, credo, e più si bagna tra Garda e Val Camonica e Pennino de l'acqua che nel detto laco stagna.
s-719 Loco è nel mezzo dove 'l trentino pastore e quel di Brescia e 'l veronese segnar poria, s'e' fesse quel cammino.
s-720 Siede Peschiera, bello e forte arnese da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, ove la riva 'ntorno più discese.
s-721 Ivi convien che tutto quanto caschi ciò che 'n grembo a Benaco star non può, e fassi fiume giù per verdi paschi.
s-722 Tosto che l'acqua a correr mette co, non più Benaco, ma Mencio si chiama fino a Governol, dove cade in Po.
s-723 Non molto ha corso, ch'el trova una lama, ne la qual si distende e la 'mpaluda; e suol di state talor esser grama.
s-724 Quindi passando la vergine cruda vide terra, nel mezzo del pantano, sanza coltura e d'abitanti nuda.
s-725 , per fuggire ogne consorzio umano, ristette con suoi servi a far sue arti, e visse, e vi lasciò suo corpo vano.
s-726 Li uomini poi che 'ntorno erano sparti s'accolsero a quel loco, ch'era forte per lo pantan ch'avea da tutte parti.
s-727 Fer la città sovra quell'ossa morte; e per colei che 'l loco prima elesse, Mantua l'appellar sanz'altra sorte.
s-728 Già fuor le genti sue dentro più spesse, prima che la mattia da Casalodi da Pinamonte inganno ricevesse.
s-729 Però t'assenno che, se tu mai odi originar la mia terra altrimenti, la verità nulla menzogna frodi».
s-730 E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti mi son certi e prendon mia fede, che li altri mi sarien carboni spenti.
s-731 Ma dimmi , de la gente che procede, se tu ne vedi alcun degno di nota; ché solo a ciò la mia mente rifiede».
s-732 Allor mi disse: «Quel che da la gota porge la barba in su le spalle brune, fu - quando Grecia fu di maschi vòta, ch'a pena rimaser per le cune - augure, e diede 'l punto con Calcanta in Aulide a tagliar la prima fune.
s-733 Euripilo ebbe nome, e così 'l canta l'alta mia tragedìa in alcun loco: ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
s-734 Quell'altro che ne ' fianchi è così poco, Michele Scotto fu, che veramente de le magiche frode seppe 'l gioco.
s-735 Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch'avere inteso al cuoio e a lo spago ora vorrebbe, ma tardi si pente.
s-736 Vedi le triste che lasciaron l'ago, la spuola e 'l fuso, e fecersi 'ndivine; fecer malie con erbe e con imago.
s-737 Ma vienne omai, ché già tiene 'l confine d'amendue li emisperi e tocca l'onda sotto Sobilia Caino e le spine; e già iernotte fu la luna tonda: ben ten de' ricordar, ché non ti nocque alcuna volta per la selva fonda».
s-738 mi parlava, e andavamo introcque.
s-739 Così di ponte in ponte, altro parlando che la mia comedìa cantar non cura, venimmo; e tenavamo 'l colmo, quando restammo per veder l'altra fessura di Malebolge e li altri pianti vani; e vidila mirabilmente oscura.
s-740 Quale ne l'arzanà de' Viniziani bolle l'inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani, ché navicar non ponno - in quella vece chi fa suo legno novo e chi ristoppa le coste a quel che più viaggi fece; chi ribatte da proda e chi da poppa; altri fa remi e altri volge sarte; chi terzeruolo e artimon rintoppa -: tal, non per foco ma per divin'arte, bollia giuso una pegola spessa, che 'nviscava la ripa d'ogne parte.
s-741 I' vedea lei, ma non vedea in essa mai che le bolle che 'l bollor levava, e gonfiar tutta, e riseder compressa.
s-742 Mentr'io giù fisamente mirava, lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!», mi trasse a del loco dov'io stava.
s-743 Allor mi volsi come l'uom cui tarda di veder quel che li convien fuggire e cui paura sùbita sgagliarda, che, per veder, non indugia 'l partire: e vidi dietro a noi un diavol nero correndo su per lo scoglio venire.
s-744 Ahi quant'elli era ne l'aspetto fero! e quanto mi parea ne l'atto acerbo, con l'ali aperte e sovra i piè leggero!
s-745 L'omero suo, ch'era aguto e superbo, carcava un peccator con ambo l'anche, e quei tenea de' piè ghermito 'l nerbo.
s-746 Del nostro ponte disse: «O Malebranche, ecco un de li anzian di Santa Zita!
s-747 Mettetel sotto, ch'i' torno per anche a quella terra che n'è ben fornita: ogn'uom v'è barattier, fuor che Bonturo; del no, per li denar, vi si fa ita».
s-748 giù 'l buttò, e per lo scoglio duro si volse; e mai non fu mastino sciolto con tanta fretta a seguitar lo furo.
s-749 Quel s'attuffò, e tornò convolto; ma i demon che del ponte avean coperchio, gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto! qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
s-750 Però, se tu non vuo' di nostri graffi, non far sopra la pegola soverchio».
s-751 Poi l'addentar con più di cento raffi, disser: «Coverto convien che qui balli, che, se puoi, nascosamente accaffi».
s-752 Non altrimenti i cuoci a' lor vassalli fanno attuffare in mezzo la caldaia la carne con li uncin, perché non galli.
s-753 Lo buon maestro «Acciò che non si paia che tu ci sia», mi disse, «giù t'acquatta dopo uno scheggio, ch'alcun schermo t'aia; e per nulla offension che mi sia fatta, non temer tu, ch'i' ho le cose conte, perch'altra volta fui a tal baratta».
s-754 Poscia passò di dal co del ponte; e com'el giunse in su la ripa sesta, mestier li fu d'aver sicura fronte.
s-755 Con quel furore e con quella tempesta ch'escono i cani a dosso al poverello che di sùbito chiede ove s'arresta, usciron quei di sotto al ponticello, e volser contra lui tutt'i runcigli; ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!
s-756 Innanzi che l'uncin vostro mi pigli, traggasi avante l'un di voi che m'oda, e poi d'arruncigliarmi si consigli».
s-757 Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»; per ch'un si mosse - e li altri stetter fermi - e venne a lui dicendo: «Che li approda?».
s-758 «Credi tu, Malacoda, qui vedermi esser venuto», disse 'l mio maestro, «sicuro già da tutti vostri schermi, sanza voler divino e fato destro?
s-759 Lascian' andar, ché nel cielo è voluto ch'i' mostri altrui questo cammin silvestro».
s-760 Allor li fu l'orgoglio caduto, ch'e' si lasciò cascar l'uncino a' piedi, e disse a li altri: «Omai non sia feruto».
s-761 E 'l duca mio a me: «O tu che siedi tra li scheggion del ponte quatto quatto, sicuramente omai a me ti riedi».
s-762 Per ch'io mi mossi e a lui venni ratto; e i diavoli si fecer tutti avanti, ch'io temetti ch'ei tenesser patto; così vid'io già temer li fanti ch'uscivan patteggiati di Caprona, veggendo tra nemici cotanti.
s-763 I' m'accostai con tutta la persona lungo 'l mio duca, e non torceva li occhi da la sembianza lor ch'era non buona.
s-764 Ei chinavan li raffi e «Vuo' che 'l tocchi», diceva l'un con l'altro, «in sul groppone?».
s-765 E rispondien: «, fa che gliel' accocchi».
s-766 Ma quel demonio che tenea sermone col duca mio, si volse tutto presto e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».
s-767 Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo iscoglio non si può, però che giace tutto spezzato al fondo l'arco sesto.
s-768 E se l'andare avante pur vi piace, andatevene su per questa grotta; presso è un altro scoglio che via face.
s-769 Ier, più oltre cinqu' ore che quest'otta, mille dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta.
s-770 Io mando verso di questi miei a riguardar s'alcun se ne sciorina; gite con lor, che non saranno rei».
s-771 «Tra' ti avante, Alichino, e Calcabrina», cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo; e Barbariccia guidi la decina.
s-772 Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo, Ciriatto sannuto e Graffiacane e Farfarello e Rubicante pazzo.
s-773 Cercate 'ntorno le boglienti pane; costor sian salvi infino a l'altro scheggio che tutto intero va sovra le tane».
s-774 «Omè, maestro, che è quel ch'i' veggio?», diss'io, «deh, sanza scorta andianci soli, se tu sa' ir; ch'i' per me non la cheggio.
s-775 Se tu se' accorto come suoli, non vedi tu ch'e' digrignan li denti e con le ciglia ne minaccian duoli?».
s-776 Ed elli a me: «Non vo' che tu paventi; lasciali digrignar pur a lor senno, ch'e' fanno ciò per li lessi dolenti».
s-777 Per l'argine sinistro volta dienno; ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca, per cenno; ed elli avea del cul fatto trombetta.
s-778 Io vidi già cavalier muover campo, e cominciare stormo e far lor mostra, e talvolta partir per loro scampo; corridor vidi per la terra vostra, o Aretini, e vidi gir gualdane, fedir torneamenti e correr giostra; quando con trombe, e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella, e con cose nostrali e con istrane; già con diversa cennamella cavalier vidi muover pedoni, nave a segno di terra o di stella.
s-779 Noi andavam con li diece demoni.
s-780 Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
s-781 Pur a la pegola era la mia 'ntesa, per veder de la bolgia ogne contegno e de la gente ch'entro v'era incesa.
s-782 Come i dalfini, quando fanno segno a' marinar con l'arco de la schiena che s'argomentin di campar lor legno, talor così, ad alleggiar la pena, mostrav'alcun de' peccatori 'l dosso e nascondea in men che non balena.
s-783 E come a l'orlo de l'acqua d'un fosso stanno i ranocchi pur col muso fuori, che celano i piedi e l'altro grosso, stavan d'ogne parte i peccatori; ma come s'appressava Barbariccia, così si ritraén sotto i bollori.
s-784 I' vidi, e anco il cor me n'accapriccia, uno aspettar così, com'elli 'ncontra ch'una rana rimane e l'altra spiccia; e Graffiacan, che li era più di contra, li arruncigliò le 'mpegolate chiome e trassel , che mi parve una lontra.
s-785 I' sapea già di tutti quanti 'l nome, li notai quando fuorono eletti, e poi ch'e' si chiamaro, attesi come.
s-786 «O Rubicante, fa che tu li metti li unghioni a dosso, che tu lo scuoi!», gridavan tutti insieme i maladetti.
s-787 E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi, che tu sappi chi è lo sciagurato venuto a man de li avversari suoi».
s-788 Lo duca mio li s'accostò allato; domandollo ond'ei fosse, e quei rispuose: «I' fui del regno di Navarra nato.
s-789 Mia madre a servo d'un segnor mi puose, che m'avea generato d'un ribaldo, distruggitor di e di sue cose.
s-790 Poi fui famiglia del buon re Tebaldo; quivi mi misi a far baratteria, di ch'io rendo ragione in questo caldo».
s-791 E Ciriatto, a cui di bocca uscia d'ogne parte una sanna come a porco, li sentir come l'una sdruscia.
s-792 Tra male gatte era venuto 'l sorco; ma Barbariccia il chiuse con le braccia e disse: «State in , mentr'io lo 'nforco».
s-793 E al maestro mio volse la faccia; «Domanda», disse, «ancor, se più disii saper da lui, prima ch'altri 'l disfaccia».
s-794 Lo duca dunque: «Or : de li altri rii conosci tu alcun che sia latino sotto la pece?».
s-795 E quelli: «I' mi partii, poco è, da un che fu di vicino.
s-796 Così foss'io ancor con lui coperto, ch'i' non temerei unghia uncino!».
s-797 E Libicocco «Troppo avem sofferto», disse; e preseli 'l braccio col runciglio, che, stracciando, ne portò un lacerto.
s-798 Draghignazzo anco i volle dar di piglio giuso a le gambe; onde 'l decurio loro si volse intorno intorno con mal piglio.
s-799 Quand'elli un poco rappaciati fuoro, a lui, ch'ancor mirava sua ferita, domandò 'l duca mio sanza dimoro: «Chi fu colui da cui mala partita di' che facesti per venire a proda?».
s-800 Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita, quel di Gallura, vasel d'ogne froda, ch'ebbe i nemici di suo donno in mano, e lor, che ciascun se ne loda.

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