s-602
| Così ancor su per la strema testa di quel settimo cerchio tutto solo andai, dove sedea la gente mesta. |
s-603
| Per li occhi fora scoppiava lor duolo; di qua, di là soccorrien con le mani quando a' vapori, e quando al caldo suolo: non altrimenti fan di state i cani or col ceffo or col piè, quando son morsi o da pulci o da mosche o da tafani. |
s-604
| Poi che nel viso a certi li occhi porsi, ne' quali 'l doloroso foco casca, non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi che dal collo a ciascun pendea una tasca ch'avea certo colore e certo segno, e quindi par che 'l loro occhio si pasca. |
s-605
| E com'io riguardando tra lor vegno, in una borsa gialla vidi azzurro che d'un leone avea faccia e contegno. |
s-606
| Poi, procedendo di mio sguardo il curro, vidine un'altra come sangue rossa, mostrando un'oca bianca più che burro. |
s-607
| E un che d'una scrofa azzurra e grossa segnato avea lo suo sacchetto bianco, mi disse: «Che fai tu in questa fossa? |
s-608
| Or te ne va; e perché se' vivo anco, sappi che 'l mio vicin Vitaliano sederà qui dal mio sinistro fianco. |
s-609
| Con questi Fiorentin son padoano: spesse fiate mi 'ntronan li orecchi gridando: “Vegna 'l cavalier sovrano, che recherà la tasca con tre becchi!”». |
s-610
| Qui distorse la bocca e di fuor trasse la lingua, come bue che 'l naso lecchi. |
s-611
| E io, temendo no 'l più star crucciasse lui che di poco star m'avea 'mmonito, torna' mi in dietro da l'anime lasse. |
s-612
| Trova' il duca mio ch'era salito già su la groppa del fiero animale, e disse a me: «Or sie forte e ardito. |
s-613
| Omai si scende per sì fatte scale; monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo, sì che la coda non possa far male». |
s-614
| Qual è colui che sì presso ha 'l riprezzo de la quartana, c'ha già l'unghie smorte, e triema tutto pur guardando 'l rezzo, tal divenn'io a le parole porte; ma vergogna mi fé le sue minacce, che innanzi a buon segnor fa servo forte. |
s-615
| I' m'assettai in su quelle spallacce; sì volli dir, ma la voce non venne com'io credetti: «Fa che tu m'abbracce». |
s-616
| Ma esso, ch'altra volta mi sovvenne ad altro forse, tosto ch'i' montai con le braccia m'avvinse e mi sostenne; e disse: «Gerion, moviti omai: le rote larghe, e lo scender sia poco; pensa la nova soma che tu hai». |
s-617
| Come la navicella esce di loco in dietro in dietro, sì quindi si tolse; e poi ch'al tutto si sentì a gioco, là 'v'era 'l petto, la coda rivolse, e quella tesa, come anguilla, mosse, e con le branche l'aere a sé raccolse. |
s-618
| Maggior paura non credo che fosse quando Fetonte abbandonò li freni, per che 'l ciel, come pare ancor, si cosse; né quando Icaro misero le reni sentì spennar per la scaldata cera, gridando il padre a lui «Mala via tieni!», che fu la mia, quando vidi ch'i' era ne l'aere d'ogne parte, e vidi spenta ogne veduta fuor che de la fera. |
s-619
| Ella sen va notando lenta lenta; rota e discende, ma non me n'accorgo se non che al viso e di sotto mi venta. |
s-620
| Io sentia già da la man destra il gorgo far sotto noi un orribile scroscio, per che con li occhi 'n giù la testa sporgo. |
s-621
| Allor fu' io più timido a lo stoscio, però ch'i' vidi fuochi e senti' pianti; ond'io tremando tutto mi raccoscio. |
s-622
| E vidi poi, ché nol vedea davanti, lo scendere e 'l girar per li gran mali che s'appressavan da diversi canti. |
s-623
| Come 'l falcon ch'è stato assai su l'ali, che sanza veder logoro o uccello fa dire al falconiere «Omè, tu cali!», discende lasso onde si move isnello, per cento rote, e da lunge si pone dal suo maestro, disdegnoso e fello; così ne puose al fondo Gerione al piè al piè de la stagliata rocca, e, discarcate le nostre persone, si dileguò come da corda cocca. |
s-624
| Luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge. |
s-625
| Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò l'ordigno. |
s-626
| Quel cinghio che rimane adunque è tondo tra 'l pozzo e 'l piè de l'alta ripa dura, e ha distinto in dieci valli il fondo. |
s-627
| Quale, dove per guardia de le mura più e più fossi cingon li castelli, la parte dove son rende figura, tale imagine quivi facean quelli; e come a tai fortezze da' lor sogli a la ripa di fuor son ponticelli, così da imo de la roccia scogli movien che ricidien li argini e ' fossi infino al pozzo che i tronca e raccogli. |
s-628
| In questo luogo, de la schiena scossi di Gerion, trovammoci ; e 'l poeta tenne a sinistra, e io dietro mi mossi. |
s-629
| A la man destra vidi nova pieta, novo tormento e novi frustatori, di che la prima bolgia era repleta. |
s-630
| Nel fondo erano ignudi i peccatori; dal mezzo in qua ci venien verso 'l volto, di là con noi, ma con passi maggiori, come i Roman per l'essercito molto, l'anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto, che da l'un lato tutti hanno la fronte verso 'l castello e vanno a Santo Pietro, da l'altra sponda vanno verso 'l monte. |
s-631
| Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battien crudelmente di retro. |
s-632
| Ahi come facean lor levar le berze a le prime percosse! già nessuno le seconde aspettava né le terze. |
s-633
| Mentr'io andava, li occhi miei in uno furo scontrati; e io sì tosto dissi: «Già di veder costui non son digiuno». |
s-634
| Per ch'io a figurarlo i piedi affissi; e 'l dolce duca meco si ristette, e assentio ch'alquanto in dietro gissi . |
s-635
| E quel frustato celar si credette bassando 'l viso; ma poco li valse, ch'io dissi: «O tu che l'occhio a terra gette, se le fazion che porti non son false, Venedico se' tu Caccianemico. |
s-636
| Ma che ti mena a sì pungenti salse?». |
s-637
| Ed elli a me: «Mal volentier lo dico; ma sforzami la tua chiara favella, che mi fa sovvenir del mondo antico. |
s-638
| I' fui colui che la Ghisolabella condussi a far la voglia del marchese, come che suoni la sconcia novella. |
s-639
| E non pur io qui piango bolognese; anzi n'è questo loco tanto pieno, che tante lingue non son ora apprese a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno; e se di ciò vuoi fede o testimonio, rècati a mente il nostro avaro seno». |
s-640
| Così parlando il percosse un demonio de la sua scuriada, e disse: «Via, ruffian! qui non son femmine da conio». |
s-641
| I' mi raggiunsi con la scorta mia; poscia con pochi passi divenimmo là 'v'uno scoglio de la ripa uscia. |
s-642
| Assai leggeramente quel salimmo; e vòlti a destra su per la sua scheggia, da quelle cerchie etterne ci partimmo. |
s-643
| Quando noi fummo là dov'el vaneggia di sotto per dar passo a li sferzati, lo duca disse: «Attienti , e fa che feggia lo viso in te di quest'altri mal nati, ai quali ancor non vedesti la faccia però che son con noi insieme andati». |
s-644
| Del vecchio ponte guardavam la traccia che venìa verso noi da l'altra banda, e che la ferza similmente scaccia. |
s-645
| E 'l buon maestro, sanza mia dimanda, mi disse: «Guarda quel grande che vene, e per dolor non par lagrime spanda: quanto aspetto reale ancor ritene! |
s-646
| Quelli è Iasón, che per cuore e per senno li Colchi del monton privati féne. |
s-647
| Ello passò per l'isola di Lenno poi che l'ardite femmine spietate tutti li maschi loro a morte dienno. |
s-648
| Ivi con segni e con parole ornate Isifile ingannò, la giovinetta che prima avea tutte l'altre ingannate. |
s-649
| Lasciolla quivi, gravida, soletta; tal colpa a tal martiro lui condanna; e anche di Medea si fa vendetta. |
s-650
| Con lui sen va chi da tal parte inganna; e questo basti de la prima valle sapere e di color che 'n sé assanna». |
s-651
| Già eravam là 've lo stretto calle con l'argine secondo s'incrocicchia, e fa di quello ad un altr'arco spalle. |
s-652
| Quindi sentimmo gente che si nicchia ne l'altra bolgia e che col muso scuffa, e sé medesma con le palme picchia. |
s-653
| Le ripe eran grommate d'una muffa, per l'alito di giù che vi s'appasta, che con li occhi e col naso facea zuffa. |
s-654
| Lo fondo è cupo sì, che non ci basta loco a veder sanza montare al dosso de l'arco, ove lo scoglio più sovrasta. |
s-655
| Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso vidi gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso. |
s-656
| E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parea s'era laico o cherco. |
s-657
| Quei mi sgridò: «Perché se' tu sì gordo di riguardar più me che li altri brutti?». |
s-658
| E io a lui: «Perché, se ben ricordo, già t'ho veduto coi capelli asciutti, e se' Alessio Interminei da Lucca: però t'adocchio più che li altri tutti». |
s-659
| Ed elli allor, battendosi la zucca: «qua giù m'hanno sommerso le lusinghe ond'io non ebbi mai la lingua stucca». |
s-660
| Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse, «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l'occhio attinghe di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l'unghie merdose, e or s'accoscia e ora è in piedi stante. |
s-661
| Taide è, la puttana che rispuose al drudo suo quando disse “Ho io grazie grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”. |
s-662
| E quinci sian le nostre viste sazie». |
s-663
| O Simon mago, o miseri seguaci che le cose di Dio, che di bontate deon essere spose, e voi rapaci per oro e per argento avolterate, or convien che per voi suoni la tromba, però che ne la terza bolgia state. |
s-664
| Già eravamo, a la seguente tomba, montati de lo scoglio in quella parte ch'a punto sovra mezzo 'l fosso piomba. |
s-665
| O somma sapienza, quanta è l'arte che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, e quanto giusto tua virtù comparte! |
s-666
| Io vidi per le coste e per lo fondo piena la pietra livida di fóri, d'un largo tutti e ciascun era tondo. |
s-667
| Non mi parean men ampi né maggiori che que' che son nel mio bel San Giovanni, fatti per loco d'i battezzatori; l'un de li quali, ancor non è molt'anni, rupp'io per un che dentro v'annegava: e questo sia suggel ch'ogn'omo sganni. |
s-668
| Fuor de la bocca a ciascun soperchiava d'un peccator li piedi e de le gambe infino al grosso, e l'altro dentro stava. |
s-669
| Le piante erano a tutti accese intrambe; per che sì forte guizzavan le giunte, che spezzate averien ritorte e strambe. |
s-670
| Qual suole il fiammeggiar de le cose unte muoversi pur su per la strema buccia, tal era lì dai calcagni a le punte. |
s-671
| «Chi è colui, maestro, che si cruccia guizzando più che li altri suoi consorti», diss'io, «e cui più roggia fiamma succia?». |
s-672
| Ed elli a me: «Se tu vuo' ch'i' ti porti là giù per quella ripa che più giace, da lui saprai di sé e de' suoi torti». |
s-673
| E io: «Tanto m'è bel, quanto a te piace: tu se' segnore, e sai ch'i' non mi parto dal tuo volere, e sai quel che si tace». |
s-674
| Allor venimmo in su l'argine quarto; volgemmo e discendemmo a mano stanca là giù nel fondo foracchiato e arto. |
s-675
| Lo buon maestro ancor de la sua anca non mi dipuose, sì mi giunse al rotto di quel che si piangeva con la zanca. |
s-676
| «O qual che se' che 'l di sù tien di sotto, anima trista come pal commessa», comincia' io a dir, «se puoi, fa motto». |
s-677
| Io stava come 'l frate che confessa lo perfido assessin, che, poi ch'è fitto, richiama lui per che la morte cessa. |
s-678
| Ed el gridò: «Se' tu già costì ritto, se' tu già costì ritto, Bonifazio? |
s-679
| Di parecchi anni mi mentì lo scritto. |
s-680
| Se' tu sì tosto di quell'aver sazio per lo qual non temesti tòrre a 'nganno la bella donna, e poi di farne strazio?». |
s-681
| Tal mi fec'io, quai son color che stanno, per non intender ciò ch'è lor risposto, quasi scornati, e risponder non sanno. |
s-682
| Allor Virgilio disse: «Dilli tosto: “Non son colui, non son colui che credi”»; e io rispuosi come a me fu imposto. |
s-683
| Per che lo spirto tutti storse i piedi; poi, sospirando e con voce di pianto, mi disse: «Dunque che a me richiedi? |
s-684
| Se di saper ch'i' sia ti cal cotanto, che tu abbi però la ripa corsa, sappi ch'i' fui vestito del gran manto; e veramente fui figliuol de l'orsa, cupido sì per avanzar li orsatti, che sù l'avere e qui me misi in borsa. |
s-685
| Di sotto al capo mio son li altri tratti che precedetter me simoneggiando, per le fessure de la pietra piatti. |
s-686
| Là giù cascherò io altresì quando verrà colui ch'i' credea che tu fossi, allor ch'i' feci 'l sùbito dimando. |
s-687
| Ma più è 'l tempo già che i piè mi cossi e ch'i' son stato così sottosopra, ch'el non starà piantato coi piè rossi: ché dopo lui verrà di più laida opra, di ver' ponente, un pastor sanza legge, tal che convien che lui e me ricuopra. |
s-688
| Novo Iasón sarà, di cui si legge ne' Maccabei; e come a quel fu molle suo re, così fia lui chi Francia regge». |
s-689
| Io non so s'i' mi fui qui troppo folle, ch'i' pur rispuosi lui a questo metro: «Deh, or mi dì: quanto tesoro volle Nostro Segnore in prima da san Pietro ch'ei ponesse le chiavi in sua balìa? |
s-690
| Certo non chiese se non “Viemmi retro”. |
s-691
| Né Pier né li altri tolsero a Matia oro od argento, quando fu sortito al loco che perdé l'anima ria. |
s-692
| Però ti sta, ché tu se' ben punito; e guarda ben la mal tolta moneta ch'esser ti fece contra Carlo ardito. |
s-693
| E se non fosse ch'ancor lo mi vieta la reverenza delle somme chiavi che tu tenesti ne la vita lieta, io userei parole ancor più gravi; ché la vostra avarizia il mondo attrista, calcando i buoni e sollevando i pravi. |
s-694
| Di voi pastor s'accorse il Vangelista, quando colei che siede sopra l'acque puttaneggiar coi regi a lui fu vista; quella che con le sette teste nacque, e da le diece corna ebbe argomento, fin che virtute al suo marito piacque. |
s-695
| Fatto v'avete Dio d'oro e d'argento; e che altro è da voi a l'idolatre, se non ch'elli uno, e voi ne orate cento? |
s-696
| Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre!». |
s-697
| E mentr'io li cantava cotai note, o ira o coscienza che 'l mordesse, forte spingava con ambo le piote. |
s-698
| I' credo ben ch'al mio duca piacesse, con sì contenta labbia sempre attese lo suon de le parole vere espresse. |
s-699
| Però con ambo le braccia mi prese; e poi che tutto su mi s'ebbe al petto, rimontò per la via onde discese. |
s-700
| Né si stancò d'avermi a sé distretto, sì men portò sovra 'l colmo de l'arco che dal quarto al quinto argine è tragetto. |
s-701
| Quivi soavemente spuose il carco, soave per lo scoglio sconcio ed erto che sarebbe a le capre duro varco. |